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L'ARRIVO

(Max Lucado)

“E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria”. Giovanni 1:14.

Quel giorno nel villaggio il trambusto ebbe inizio più presto del solito. Mentre la notte cedeva il posto all’alba la gente era già in strada. I venditori ambulanti sistemavano i loro banchi agli angoli delle vie più trafficate. I negozianti aprivano le porte delle loro rivendite. I bambini si svegliavano al latrare eccitato dei cani randagi e al lamento degli asini al traino dei carri.


Il proprietario della locanda si era svegliato ancora prima degli altri, in città. Dopotutto la locanda era al completo, non c’era più un letto libero. Ogni stuoia e ogni coperta a disposizione erano in uso. Presto tutti i clienti si sarebbero messi in movimento e ci sarebbe stato tanto lavoro da svolgere.
L’immaginazione si accende al pensiero di ciò che si saranno detti il locandiere e i suoi familiari seduti al tavolo della colazione. Qualcuno avrà fatto menzione della giovane coppia arrivata la sera prima? Qualcuno si sarà chiesto come stavano? Qualcuno avrà fatto commenti riguardo alla gravidanza della giovane sull’asino? Forse. Forse qualcuno sollevò la questione. Ma di sicuro non se ne parlò più di tanto. Non c’era niente di così insolito al loro riguardo. Chissà quante altre famiglie erano state respinte quella sera.
E poi chi aveva avuto il tempo di parlare con loro con tutta quell’eccitazione nell’aria? Augusto fece un favore all’economia di Betlemme quando ordinò il censimento. Chi ricordava più una simile mole di affari?
No, è poco probabile che qualcuno menzionò l’arrivo della coppia o si interrogò sulla condizione della donna. Erano troppo occupati. La giornata era iniziata. Dovevano preparare il pane. Dovevano sbrigare le faccende mattutine. C’era troppo da fare per immaginare che l’impossibile era avvenuto.
Dio era entrato nel mondo in forma di neonato.
Eppure, se qualcuno fosse incappato in quella stalla per le pecore alla periferia di Betlemme, quella mattina, che strana scena si sarebbe trovato di fronte.
La stalla puzza come ogni stalla. Il tanfo di urina e di letame riempie l’aria. Il pavimento è duro, la paglia scarseggia. Dal soffitto pendono ragnatele e i topi corrono tra la sporcizia.
Impossibile pensare a un posto più umile di questo per nascere.

Da un lato siede un gruppo di pastori. Siedono in silenzio sul pavimento; forse perplessi, forse pieni di soggezione, senza dubbio colmi di stupore. La loro veglia notturna è stata interrotta da un’esplosione di luce dal cielo e da una sinfonia di angeli. Dio va da coloro che hanno il tempo di ascoltarlo, così in questa notte senza nuvole andò da quei semplici pastori.
Accanto alla giovane madre siede il padre stanco. Se c’è qualcuno che sonnecchia è certamente lui. Non riesce a ricordare l’ultima volta che si è seduto. E ora che l’eccitazione è un po’ calata, ora che Maria e il bimbo sono sistemati, si appoggia alla parete della stalla e sente gli occhi socchiudersi. Non ha ancora capito bene. il mistero dell’evento lo sconcerta. Ma non ha la forza di affrontare le domande che gli ronzano per la testa. La cosa importante è che il bambino stia bene e che Maria sia al sicuro. Mentre si addormenta ricorda il nome che l’angelo gli ha detto di usare… Gesù. “Lo chiameremo Gesù”.
Maria è sveglia. Ma come sembra giovane! La sua testa poggia sulla soffice pelle della sella di Giuseppe. Il dolore ha lasciato il posto allo stupore. Osserva il volto del neonato. Suo figlio. Il suo Signore. La sua maestà. A questo punto della storia, l’essere umano che meglio di chiunque altro comprende chi è Dio e che cosa sta facendo è quest’adolescente in una stalla maleodorante. Non riesce a distogliere lo sguardo dal bambino. In qualche modo Maria sa che tiene in braccio Dio. Perciò questo è lui. Ricorda le parole dell’angelo: “Il suo regno non avrà mai fine” (Luca 1:33).


Tutto sembra fuorché un re. Il suo viso è arrossato. Il suo pianto, quello impotente e penetrante di un neonato il cui benessere dipende da Maria.
La maestà in mezzo alla campagna. La santità in mezzo al letame delle pecore. La divinità entrata nel mondo sul pavimento di una stalla, attraverso il ventre di un’adolescente e alla presenza di un carpentiere.
Maria tocca il volto del Dio bambino. Quant’è stato lungo il tuo viaggio!
Quel neonato aveva presieduto la nascita dell’universo. Gli stracci che lo tenevano al caldo erano state le vesti dell’eternità. La stanza d’oro del trono era stata abbandonata in favore di un sudicio recinto per le pecore. E gli angeli in adorazione erano stati sostituiti da pastorelli di buon cuore ma disorientati.
Nel frattempo in città fervono le attività. I mercanti non sanno che Dio è giunto sul pianeta. Il locandiere non crederebbe mai di aver appena mandato Dio al freddo. E la gente si prenderebbe gioco di chiunque affermasse che il Messia giace nelle braccia di un’adolescente alla periferia del villaggio. Erano tutti troppo occupati per prendere in considerazione quell’eventualità.
Chi si perse l’arrivo della sua maestà quella notte non lo fece per malvagità o per malizia. No, non se ne rese conto semplicemente perché non guardava.

È cambiato ben poco negli ultimi duemila anni, vero?

 

Dal libro di Max Lucado: DIO VICINO A NOI Cronache del Cristo

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