Articoli
Ebrei e gentili concittadini nella cittadinanza di Israele. Una questione di identità.

di Gian Luca Morotti*

Perciò, ricordatevi che un tempo voi, stranieri di nascita, chiamati incirconcisi da quelli che si dicono circoncisi, perché tali sono nella carne per mano d’uomo, voi, dico, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele ed estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo. Ma ora, in Cristo Gesù, voi che allora eravate lontani siete stati avvicinati mediante il sangue di Cristo.” (Efesini 2:13) 

“Così dunque non siete più né stranieri né ospiti; ma siete concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio.” (Efesini 2:19)

La ricerca dell’unità spirituale tra ebrei e gentili professanti la fede in Cristo, il Messia di Israele, è stata un’aspirazione pervasiva nel corso dei secoli. Tuttavia, per molti, questo tipo di aspirazione rimane inafferrabile e spesso viene liquidata come fantasiosa riflessione di alcuni creduloni. Questo spiega l’irrigidimento e la freddezza dei tanti verso il tema in oggetto. Si pensa, infatti, che mantenere una certa distanza di sicurezza con il popolo ebraico o con ciò che Israele rappresenta consenta un maggior garanzia di ortodossia, ma non è così. Infatti, il collocamento spirituale del cristiano all’interno della famiglia di Dio richiede che esso ne sia consapevole, per il fatto che non è possibile godere di uno status di cittadino di una nazione senza sapere di quale nazione si tratti.  Tuttavia, per quasi duemila anni, i cristiani hanno sottovalutato il piano di Dio per l’unità ultima all’interno della comune cittadinanza, vale a dire, la cittadinanza d’Israele.

Leggendo con attenzione le parole di Paolo sopracitate, rimane sconcertante sapere che la risposta al dilemma della separazione tra ebrei e gentili e alla distanza (artificiale), e mantenuta a fatica tra Chiesa e Israele, è sempre rimasta lì, nelle nostre Bibbie. Non si è mai dovuto cercare altrove, né tantomeno è da ritrovarsi al di fuori della parola di Dio. Eppure, sempre troppe sono le persone che non hanno ancora ricevuto luce su questo punto fondamentale. Altri invece comprendono solo in teoria ciò che Paolo intendesse perché vivono in uno stato di dissonanza cognitiva permanente, cioè quel disagio di fronte a due cognizioni diverse tra di loro, ma presenti in un individuo allo stesso momento, che produce un contrasto tra ciò in cui essi stessi credono, seppur sbagliato, anche se non collima con quello che in verità sostiene la Parola di Dio. Lo vedono, lo comprendono, lo sanno, ma se stride con il loro credo lo rigettano.

Questa incomprensione del piano di Dio, per gli appartenenti alla sua famiglia, ha prodotto separazione, provocando l’effetto opposto. Secondo un principio spirituale molto chiaro, chi miete separazione, raccoglie divisione.

Ne consegue che, come è vero il detto che l’antichità senza verità è l’antico errore (antiquitas sine veritate vetustas erroris est), lo è anche per chi promuove separazione all’interno della grande famiglia di Dio nel nome di un antico errore, che ha le sue origini nel terzo secolo con l’imperatore Costantino al tempo in cui si provocò una frattura tra sinagoga ed ecclesia (la comunità dei chiamati) e che ha il suo eco ancora oggi in molti pulpiti e confessioni denominazionali. Quando la chiesa divenne prevalentemente composta da gentili, dimenticò rapidamente le radici ebraiche della sua fede. Molti cristiani preferirono il potere delegatogli da Costantino e voltarono le spalle agli ebrei, tanto che per gran parte degli ultimi duemila anni, la storia delle relazioni ebraico-cristiane è stata definita dall’odio e dallo spargimento di sangue.

Come se non bastasse, negli ultimi 175 anni la teologia della dispensazione è stata dominante tra gli evangelici occidentali.  Questa teologia è problematica in quanto ha separato la Chiesa e l’Israele ebraico confinandoli in scatole teologiche separate, assegnando scopi divini e destini separati a ciascuna delle parti estranee. Secondo questo pensiero, non c’è alcuna aspettativa di riconciliazione tra le due parti. L’Onnipotente avrebbe un piano per la Chiesa e un piano separato per Israele. I due non si incontrano. Quest’”apartheid degli eletti” o “ghettizzazione” della casa ebraica è deplorevole. Continua a ratificare l’accordo costantiniano che mette in disparte e allontana la casa reale ebraica della tribù di Giuda, dagli eletti tra le nazioni (la Chiesa).

Per cui, in un periodo in cui l’apostasia è davvero sotto i nostri occhi, dovremmo domandarci se una delle cause non sia questo allontanamento progressivo e volontario che ha avuto come frutto la superbia da parte dei rami selvatici (innestati nell’ulivo di Israele) nei confronti del popolo ebraico in primis, e l’indifferenza verso il proprio collocamento nella casa spirituale di Dio.

Per secoli, la Chiesa si è occupata solo di sé stessa, escludendo la progenie fisica di Abramo, eliminando completamente l’elemento ebraico della sua fede. Sembra quindi che vi sia come un velo di indifferenza verso la nostra comune cittadinanza spirituale, che è in Israele.

Come porre freno a questa deriva? Ricordando, ad esempio, che il suolo ebraico da cui proveniamo ha prodotto l’internazionalizzazione del messaggio del Vangelo predicato alle nazioni in adempimento della promessa fatta ad Abramo (“E in te saranno benedette tutte le famiglie della terra.” – Genesi 12:3) Questa società multinazionale è nota appunto come la cittadinanza di Israele.

Ora appare più chiaro, che quando si rifiuta la comunione all’interno della comune cittadinanza di Israele(Efesini 2:12) uno scontro è inevitabile. Il conflitto di opinioni confessionali e denominazionali sulla questione ebraica, il rapporto tra Chiesa e Israele è, di per sé, la prova che qualcosa è andato storto. Per secoli abbiamo assistito a questa continua tensione tra ‘l’essere vicini, pur ugualmente disgiunti’.

Ribadisco che anche se la risposta a questo problema è sempre stata nella Bibbia, raramente è stata apprezzata per quella che è.

Lui, infatti, è la nostra pace; lui, che dei due popoli ne ha fatto uno solo e ha abbattuto il muro di separazione…  per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo facendo la pace.” (Efesini 2:14-15)

Questa unione è stata fortemente sancita nel nuovo patto inaugurato alla croce, attraverso il sangue espiatorio di Cristo (Luca 22:20).

Per concludere, la questione della nostra collocazione spirituale nella cittadinanza di Israele è una benedizione non realizzata ancora da tutti. Questa nuova realizzazione della nostra identità in Yeshua (Gesù), il Messia d’Israele, potrebbe essere un vero fattore di pace, soprattutto in tempi di crisi di sovranità nazionale come quelli in cui stiamo vivendo.

Ma cosa significa in pratica? Che la comunione del cristiano è tanto con i santi dell’Antico Testamento (l’assemblea nel deserto – Atti 7:38) quanto con i credenti di oggi nati di nuovo (sia essi ebrei o gentili). Ciò comprova l’unione rappresentata in Ebrei 11:39-40: “E tutti questi, dopo aver ottenuto una buona testimonianza per mezzo della fede, non hanno ricevuto la promessa, avendo Dio provveduto a qualcosa di meglio per noi, affinché non fossero resi perfetti all’infuori di noi“. La loro perfezione è avvenuta con il nostro innesto nell’ulivo di Israele. Che meravigliosa verità!

Perciò, comprendere la nostra posizione in seno alla cittadinanza di Israele è una pura questione di identità come membri della famiglia di Dio. Così dunque non siete più né stranieri né ospiti; ma siete concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio (Efesini 2:19).